Dubai Telegraph - Gas o induzione: test consumi

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Gas o induzione: test consumi




Nel dibattito sulle migliori soluzioni per cucinare, la domanda che ricorre più spesso è: quanto consumano davvero un piano a induzione e uno a gas? Nell’ultimo anno, con prezzi dell’energia instabili e la transizione ecologica che incoraggia l’elettrificazione, sempre più famiglie si chiedono se sia arrivato il momento di abbandonare il fornello tradizionale. Per scoprirlo abbiamo confrontato le due tecnologie con dati aggiornati e un test pratico, cercando di comprendere non solo i consumi ma anche i costi, la rapidità di cottura, l’impatto ambientale e le implicazioni pratiche per l’uso domestico.

Il test: due litri d’acqua a bollire
Per avere un riscontro concreto abbiamo riprodotto in laboratorio uno dei test utilizzati dai produttori per certificare i consumi: portare a ebollizione due litri d’acqua in pentole identiche. Il piano a induzione si è rivelato nettamente più rapido, impiegando poco meno di cinque minuti (4 minuti e 53 secondi) per portare l’acqua a 100 °C, mentre il piano a gas ha richiesto oltre undici minuti (11 minuti e 16 secondi). Il vantaggio temporale è dovuto al principio di funzionamento: l’induzione genera calore direttamente nel fondo della pentola tramite un campo magnetico, riducendo la dispersione termica; il gas, al contrario, riscalda prima la fiamma e poi il recipiente, disperdendo parte dell’energia nell’aria circostante.

In termini di energia assorbita, il piano a induzione ha consumato circa 0,23 kWh, mentre il fornello a gas ha bruciato 0,07 metri cubi di gas. Considerando che uno standard metro cubo (Smc) di gas metano contiene circa 10,7 kWh di energia, quei 0,07 Smc corrispondono a più di 0,7 kWh. L’efficienza più elevata dell’induzione spiega quindi perché, pur utilizzando energia elettrica più costosa del gas a parità di unità, il consumo totale risulti inferiore.

Consumi e costi
Il confronto dei consumi deve essere tradotto in costi per avere un significato concreto. A novembre 2025, nel servizio di tutela della vulnerabilità il costo dell’elettricità per i clienti domestici vulnerabili è di circa 0,2875 €/kWh tasse incluse, mentre il prezzo del gas, sempre in regime tutelato, ammonta a 1,0525 €/Smc (circa 0,4406 €/kWh per la materia prima più oneri e imposte). Applicando questi valori ai consumi misurati:

-  il piano a induzione, con 0,23 kWh, costa circa 6,6 centesimi,

-  il piano a gas, con 0,07 Smc, costa circa 7,4 centesimi.

Se si confrontano soltanto i prezzi della materia prima (circa 0,3537 €/Smc per il gas), il fornello a gas risulta leggermente più economico; tuttavia, tenendo conto di trasporto, oneri di sistema e imposte, il costo complessivo tende a superare quello dell’energia elettrica. Il risultato del test è dunque sorprendente: malgrado l’elettricità resti più costosa del gas per kWh, il piano a induzione consuma meno energia e può risultare più conveniente in bolletta. È un vantaggio che può ampliarsi o ridursi a seconda del proprio contratto di fornitura: nel mercato libero alcune offerte gas a prezzo basso rendono ancora competitivo il piano tradizionale, mentre tariffe elettriche vantaggiose accentuano il vantaggio dell’induzione.

Efficienza e rapidità
L’efficienza dell’induzione supera il 90 %, perché il campo magnetico riscalda esclusivamente il fondo ferromagnetico della pentola; i fornelli a gas hanno un rendimento ben più basso (intorno al 40–60 %) e molta energia si perde sotto forma di calore disperso. Questa differenza si riflette non solo nel consumo, ma anche nella velocità: il test sulla bollitura mostra che l’induzione quasi dimezza i tempi. È un aspetto apprezzato da chi cucina quotidianamente, perché permette di risparmiare minuti preziosi e di mantenere la cucina più fresca.

Per ottenere questi risultati è necessario però disporre di pentole con fondo magnetico; l’acciaio inox è generalmente compatibile, mentre alluminio, rame, ceramica e vetro non funzionano. L’induzione richiede inoltre una potenza elettrica disponibile più elevata: la maggior parte dei piani in commercio ha una potenza di punta di 7,4 kW e chi possiede un contratto domestico standard da 3 kW deve impostare un limitatore di potenza oppure chiedere al gestore l’aumento a 4,5 o 6 kW, con conseguente incremento dei costi fissi. Fortunatamente molti modelli offrono un limitatore regolabile che consente di utilizzare l’induzione senza superare la potenza contrattuale, anche se in questo caso non si può sfruttare il massimo della rapidità.

Impatto ambientale e salute
Scegliere tra induzione e gas non è solo una questione di costi. Numerosi studi evidenziano che i fornelli a gas emettono ossidi di azoto (NO₂) e altre sostanze che peggiorano la qualità dell’aria domestica. In un programma di monitoraggio su venti abitazioni del Bronx, negli Stati Uniti, la sostituzione dei fornelli a gas con quelli a induzione ha portato a una riduzione del 56 % dell’NO₂ presente in cucina; durante la cottura, le cucine a gas hanno raggiunto concentrazioni medie di 197 ppb, mentre quelle a induzione sono rimaste vicine ai livelli di fondo. L’esposizione prolungata agli ossidi di azoto è correlata a problemi respiratori e a un maggior rischio di asma nei bambini. Oltre alle emissioni indoor, il gas metano ha un forte impatto climatico: a parità di peso è circa 80 volte più dannoso della CO₂ nel trattenere il calore atmosferico nei primi vent’anni; l’induzione, alimentata da elettricità, permette di ridurre questo contributo se l’energia proviene da fonti rinnovabili.

Sul fronte della sicurezza, i piani a induzione eliminano il rischio di fughe di gas e si spengono automaticamente se la pentola viene rimossa. La superficie in vetroceramica rimane relativamente fredda, riducendo le probabilità di ustioni accidentali e rendendo la pulizia più semplice. Anche il rumore è migliorato rispetto alle prime generazioni; alcuni modelli possono produrre un sibilo a potenza elevata, ma è generalmente contenuto.

Costi di acquisto e mercato
Un elemento da non trascurare è il prezzo di acquisto. Secondo un’analisi di mercato condotta su modelli in commercio tra il 2023 e il 2025, il costo medio di un piano a induzione è di circa 675 euro, quasi il doppio rispetto ai 320 euro necessari per un piano a gas. Questa differenza iniziale resta uno dei principali ostacoli alla diffusione della tecnologia, soprattutto nelle ristrutturazioni. Nonostante ciò, l’induzione guadagna quota: oggi rappresenta circa il 36 % delle vendite di piani cottura in Italia e cresce del 2,8 % annuo, mentre i piani a gas, ancora la maggioranza con il 63 %, mostrano un leggero calo (–1,8 %). La diffusione del fotovoltaico domestico, degli accumuli e delle pompe di calore spinge ulteriormente verso la scelta elettrica.

Chi decide di acquistare un piano a induzione deve considerare anche i costi di adeguamento dell’impianto elettrico, l’eventuale sostituzione del set di pentole e la verifica della compatibilità con l’impianto domestico. Per chi vive in un appartamento con contatore limitato o senza possibilità di aumentare la potenza, il gas rimane una soluzione più semplice da implementare.

Conclusioni
Il nostro test dimostra che il piano a induzione consuma meno energia e, con le tariffe attuali, può costare meno del piano a gas, soprattutto se si considerano le spese totali in bolletta e non solo la materia prima. L’induzione offre inoltre tempi di cottura più rapidi, maggiore efficienza, migliore qualità dell’aria in casa e maggiore sicurezza. D’altro canto, il costo iniziale più elevato e la necessità di adeguare l’impianto elettrico possono rappresentare barriere importanti.

La scelta finale dipende da vari fattori: il tipo di contratto energetico, la presenza o meno di un impianto fotovoltaico, il budget disponibile per l’acquisto e l’installazione e le esigenze personali di chi cucina. Con l’aumento dei costi del gas, la diffusione delle rinnovabili e l’attenzione crescente alla salute indoor, l’induzione appare sempre più competitiva, ma il mercato offre ancora soluzioni valide per chi preferisce il gas.



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3i/atlas: Una cometa Naturale

All’inizio di luglio 2025 un telescopio del sistema ATLAS (Asteroid Terrestrial‑impact Last Alert System) in Cile registrò un puntino sfocato che si muoveva più velocemente delle normali comete. Dopo un controllo delle immagini ottenute in precedenza – alcune risalenti al 14 giugno – gli astronomi compresero di avere di fronte il terzo oggetto interstellare mai osservato: la cometa 3I/ATLAS. La sigla “3I” indica che si tratta del terzo corpo proveniente da un altro sistema stellare, mentre il nome “ATLAS” rende omaggio alla rete di telescopi che l’ha individuato. A differenza dei corpi legati al Sistema solare, la sua orbita è fortemente iperbolica, cioè non chiusa: questo percorso aperto e la sua elevata velocità, già superiore a 137 000 miglia orarie al momento della scoperta, dimostrano che non tornerà mai più.Gli astronomi hanno seguito 3I/ATLAS con ogni strumento disponibile. Durante la sua rapida cavalcata verso il Sole, il nucleo ghiacciato della cometa – probabilmente grande da poche centinaia di metri a qualche chilometro – ha iniziato a rilasciare gas e polveri formando la chioma e la coda. La fotocamera ad alta risoluzione del Mars Reconnaissance Orbiter ha ripreso l’oggetto quando passava a circa 19 milioni di chilometri da Marte, mentre le sonde Lucy e Psyche, in viaggio verso gli asteroidi, l’hanno fotografato da altre angolazioni. Anche il rover Perseverance, le missioni MAVEN e PUNCH e i telescopi spaziali Hubble e James Webb hanno puntato i loro strumenti per catturare immagini e spettroscopie del visitatore. La raccolta di dati da diverse posizioni ha permesso di ricostruire la traiettoria e di studiare la composizione della chioma.Un corpo proveniente da lontano, non un’astronaveFin dalle prime notizie, 3I/ATLAS è diventata protagonista di indiscrezioni e ipotesi fantasiose. Il fatto che si trattasse di un oggetto interstellare e che nelle prime osservazioni mostrasse una chioma debole alimentò teorie sensazionalistiche secondo cui sarebbe potuto trattarsi di un veicolo artificiale. Un ricercatore noto per le sue speculazioni su precedenti visitatori interstellari elencò dodici “anomalie” della cometa, citando ad esempio l’allineamento quasi perfetto della sua traiettoria con il piano dell’eclittica, la presenza di getti rivolti verso il Sole (detti anticode) e la composizione chimica insolita. Lo stesso studioso sottolineò la massa molto più grande rispetto agli oggetti interstellari osservati in passato, la forte predominanza di nichel rispetto al ferro e il basso contenuto d’acqua, arrivando a ipotizzare che queste caratteristiche potessero essere compatibili con un manufatto di origine non naturale.La comunità scientifica, però, ha risposto con fermezza alle voci di un’astronave. I responsabili della missione hanno chiarito che la cometa si comporta come una cometa: possiede un nucleo solido che sublima quando si avvicina al Sole, sviluppando una chioma e una coda di gas e polveri. Le anticode e le code multiple osservate da molti astrofili sono fenomeni noti: la superficie di un nucleo in rotazione espelle particelle più grandi verso il Sole e queste, colpite dalla radiazione solare, vengono poi spinte all’indietro, creando la sensazione di una coda rivolta nella direzione sbagliata. Gli astronomi hanno misurato quantità elevate di anidride carbonica, insieme a acqua, monossido di carbonio e cianuro, e hanno rilevato anche vapori di nichel. Sebbene il rapporto nichel/ferro e la proporzione di acqua siano diversi rispetto a molte comete del Sistema solare, questi valori rientrano nella vasta gamma di composizioni possibili per un oggetto nato in un altro sistema stellare.Durante una conferenza stampa organizzata il 19 novembre 2025, i responsabili dell’ente spaziale statunitense hanno presentato le immagini più dettagliate finora ottenute e hanno affrontato apertamente le “voci” circolate nei mesi precedenti. Hanno sottolineato che non è stata rilevata alcuna traccia di tecnologia o segnali artificiali, né “tecnosegnature” che possano far pensare a una navicella. La cometa non mostra propulsione autonoma né strutture riconoscibili; tutti i fenomeni osservati – comprese le variazioni di luminosità e la presenza di più getti – possono essere spiegati con processi fisici di sublimazione del ghiaccio e con la rotazione irregolare del nucleo. La comunità astronomica ha quindi applicato il rasoio di Occam: tra l’ipotesi di un oggetto naturale e quella, molto più complicata, di un veicolo alieno, la spiegazione più semplice rimane la più probabile.Orbita, dimensioni e velocitàLa traiettoria di 3I/ATLAS è altamente inclinata e la sua velocità ne attesta l’origine remota. Gli astronomi hanno calcolato che il punto più vicino al Sole (perielio) è avvenuto il 30 ottobre 2025 a circa 1,4 unità astronomiche dal Sole (circa 210 milioni di chilometri). Poche settimane più tardi, il 19 dicembre, l’oggetto raggiunge il punto di massima vicinanza alla Terra, rimanendo comunque a circa 1,8 unità astronomiche (circa 270 milioni di chilometri), quindi più lontano della distanza media che separa il nostro pianeta dal Sole. Non c’è alcun rischio di impatto: dopo aver attraversato il piano delle orbite dei pianeti, la cometa proseguirà verso il sistema esterno e poi tornerà nello spazio interstellare, senza più tornare nei nostri cieli.Le osservazioni radar e i limiti imposti dalle immagini del telescopio Hubble suggeriscono che il nucleo ha un diametro compreso tra circa 440 metri e 5,6 chilometri. Un responsabile della missione ha spiegato che, se il nucleo fosse molto più grande, si vedrebbe un picco di luminosità al centro della chioma, cosa che non è stata osservata. La forma irregolare e la rotazione possono spiegare le variazioni di luminosità e l’apparente “multi‑coda”.Dal punto di vista cinetico, 3I/ATLAS è uno degli oggetti naturali più veloci mai misurati. Subito dopo la scoperta si muoveva a circa 220 000 chilometri all’ora; la velocità è aumentata mentre si avvicinava al Sole, raggiungendo quasi 246 000 chilometri all’ora al perielio. Questa rapidità rende difficile l’osservazione: per catturare immagini nitide le camere devono inseguire la cometa, causando l’allungamento delle stelle di sfondo nelle fotografie. Anche per questo motivo è stato indispensabile coordinare le osservazioni tra decine di strumenti su orbita, sui veicoli marziani e a Terra.Composizione e anomalie apparentiUna delle domande più interessanti per gli astronomi è cosa ci possa insegnare 3I/ATLAS sulla formazione di altri sistemi stellari. Le misure spettroscopiche hanno evidenziato che il gas rilasciato dalla cometa è ricco di anidride carbonica e contiene acqua, monossido di carbonio e cianuro. La quantità relativa di nichel rispetto al ferro è insolitamente elevata, mentre l’acqua rappresenta solo una piccola frazione del materiale sublimato. Questa composizione suggerisce che la cometa potrebbe essersi formata in una regione molto fredda del suo sistema d’origine, dove la CO₂ poteva congelare in abbondanza.Le cosiddette anomalie citate dai sostenitori dell’ipotesi artificiale trovano spiegazioni naturali. L’allineamento con il piano dell’eclittica rientra nelle possibilità statistiche: molti oggetti provenienti da altre stelle possono incrociare il nostro sistema in angoli variabili, ma le probabilità di un angolo piccolo non sono nulle. Le anticode osservate sono il risultato dell’espulsione di grani di polvere relativamente grandi, che vengono spinti via lentamente dalla pressione della radiazione solare; per un certo periodo questi grani appaiono come un getto rivolto verso il Sole. Le variazioni di luminosità e colore dipendono dall’attività della chioma: quando la cometa si avvicina al Sole, i getti aumentano di intensità e la chioma diventa più brillante e di colore più blu, effetto già osservato in altre comete.Gli astronomi hanno inoltre notato che 3I/ATLAS emette più carbonio che acqua rispetto alle comete del Sistema solare e che produce una quantità relativamente elevata di nichel. Questi dati sono “interessanti” e meritano ulteriori studi, ma non implicano in alcun modo l’esistenza di una tecnologia avanzata; al contrario, rappresentano un’opportunità per comprendere come i materiali nei dischi protoplanetari di altri sistemi si differenzino dal nostro.Un’opportunità scientificaAl di là delle fantasiose supposizioni, 3I/ATLAS offre agli astronomi una finestra unica sulla chimica di altri sistemi stellari. Studiando i gas e le polveri rilasciati dalla cometa, i ricercatori possono confrontare gli elementi e le molecole presenti con quelli delle comete del Sistema solare e testare i modelli di formazione planetaria. L’occasione di osservare un oggetto che nasce sotto un’altra stella e che passa per un breve periodo vicino ai nostri strumenti è estremamente rara; per questo quasi tutti i telescopi – dalle missioni su Marte a quelli in orbita attorno alla Terra – sono stati coinvolti nella campagna di osservazione.Gli scienziati sottolineano che non c’è alcun pericolo: la cometa rimarrà sempre distante e, dopo la metà di dicembre, diventerà nuovamente invisibile anche ai più potenti telescopi. Ciò che resterà sarà un patrimonio di dati che permetterà di comprendere meglio la diversità dei materiali nei sistemi planetari e di affinare le tecniche con cui in futuro si cercheranno tracce di vita altrove. In questo senso, 3I/ATLAS non è una navicella aliena ma un messaggero naturale che porta con sé indizi sull’evoluzione di mondi lontani e sulla nostra stessa curiosità di esplorare l’universo.